Omelia 5 giugno 2016

9^ T.O./C (Risurrezione a Nain)                                           5/6/2016

CONSOLAZIONE

Dopo il tempo pasquale e superate le festività successive (Trinità e Corpus Domini), la liturgia riprende i testi del tempo ordinario, caratterizzati dalla lettura quasi continua del Vangelo (quest’anno Luca) abbinato a brani dell’AT collegati (facile vedere il parallelo tra la prima lettura e il Vangelo) e un brano delle lettere post pasquali, in questo caso Paolo ai Galati.

E’ un grande dono che ci permette ogni 3 anni di rileggere quasi integralmente i Vangeli e le pagine più importanti dell’AT e delle lettere. E’ la Parola di Dio, è Parola di vita di cui spesso noi non ci rendiamo conto, a causa dell’inevitabile abitudine che può ingabbiarci nel nostro venire a Messa.

Lasciamoci sorprendere. La vita di questa Parola scorrerà meglio anche nelle nostre vene, nel nostro cuore, nella nostra mente.

E che si tratti di vita – ciò che tutti desideriamo di più – oggi lo capiamo doppiamente. Oltre ad essere “parola di Vita” come lo è tutta la Bibbia e in particolare il Vangelo, lo è anche perché racconta due episodi di risurrezione: il FIGLIO DELLA VEDOVA DI SAREPTA e il FIGLIO DELLA VEDOVA DI NAIN. Due note innanzitutto:

Prima nota: TRISTEZZA. Per entrambe quelle donne è perso l’ultimo motivo di speranza e gioia, l’unico figlio di una vita particolarmente avara, dove oltre che a non aver avuto altri figli, entrambe hanno perso i rispettivi mariti (vedovanza era poi disgrazia nella disgrazia: alla perdita dell’amato, infatti, si aggiunge l’inevitabile precarietà economica, una vita di povertà e stenti).

Seconda nota: SPERANZA. Dio non è lontano, il PROFETA nella prima lettura e GESÙ stesso nel Vangelo, passano di là e in modi e con accenti diversi ridonano la vita in quanto emissari di Dio che è vita. E per entrambe quelle vedove torna la gioia grata e riconoscente per aver ritrovato quel figlio che credevano perduto.

Differenza: essa è sostanziale e vale la pena segnalarla: mentre il PROFETA ELIA invoca Dio: SIGNORE, MIO DIO, LA VITA DI QUESTO BAMBINO TORNI…; GESU’ invece agisce direttamente: RAGAZZO, DICO A TE, ALZATI. In Gesù Dio è presente, è Dio stesso che agisce. Gesù è il figlio di Dio, seconda persona della Trinità, portatore Lui di vita, la vita di Dio che vince la morte.

Abbiamo almeno due messaggi da tutto questo:

Primo messaggio: una promessa di vita, garantita dal fatto che Dio passa sempre accanto alla nostra vita, non ci lascerà mai soli come ha promesso un giorno (“sarò con voi fino alla fine del mondo” cf Mt 28,20).

Secondo messaggio: una chiave è la debolezza. Noi saremo portati a pensare che è fortunata la vita di chi è ricco e famoso. Eppure questi due funerali “poveri” descritti dalla Parola di Dio assomigliano molto a tanti nostri funerali. Mentre oggi vediamo anche altri tipi di funerali, quelli laici, che spesso sono di persone ricche e famose (in questi mesi si sono susseguiti quello dell’attore Albertazzi, del politico Pannella, dello scrittore Eco). Ricchi di pagine di giornali, ma poveri di speranza. Io non farei cambio. Io scelgo i funerali “poveri” di clamore, ma ricchi di fede. Poi anche nei nostri funerali a volte ti accorgi della poca fede, e allora diventano funerali ricchi di parole umane (tanti vogliono dire in chiesa il loro pensiero che spesso è chiuso nel passato, nel ricordo umano, piuttosto che di preghiera, nell’affidare il defunto al ricordo di Dio, oppure ti chiedono segni strani, sciarpe o magliette da mettere sulle bare, segni che legano alla terra e non al cielo). Nel dolore tutti vanno rispettati, ma anche aiutati ad alzare lo sguardo.

 

Prima conclusione: le due vedove, pur nella povertà e nella debolezza, fanno l’esperienza di un Dio presente. La fanno nemmeno cercandola più di tanto, ma solo perché il loro cuore povero era più disponibile a Dio, proprio perché povere, non rimaneva loro altro che alzare lo sguardo al cielo e il cielo era li vicino, in Gesù in modo diretto: Dio ci è vicino e ci apre alla speranza.

Seconda conclusione: Gesù non ha risorto tutti i defunti di Israele, non ha guarito tutti i malati, non ha evitato la croce. L’insegnamento che ce ne viene è che quello che conta non è il miracolo: chiediamolo pure, chiediamolo sempre. Se viene lodiamo Dio. Se non viene, apriamo gli occhi, il cuore e la mente: quello che conta è che Dio è comunque vicino a noi, e presto ci donerà consolazione comunque.